ABSTRACT: This article investigates the limits of maritime power, by critically analyzing the theorizations of Jakub Grygiel, Saul B. Cohen and Randall Collins in light of the new phase of geopolitical competition marked by both warlike (Ukraine) and potentially military (Taiwan) conflicts having, among the main issues at stake, the control of closed seas, straits, archipelagos, coastlines and maritime trade routes. The impression is that the limits of maritime power inevitably emerge in the event that states lose their positional and comparative human resources advantages over their competitors, especially in phases of rapid diffusion of technological innovations. Therefore, the key to global geopolitical dominance does not lie simply in dominating the seas or, on the contrary, the continental mass, but in having the aforementioned advantages over rivals, not only by force, but also through a diplomatic strategy capable of co-opting allies.
KEYWORDS: Maritime Power, Geopolitical Theory, NATO
Questo articolo indaga i limiti del potere marittimo, analizzando criticamente le teorizzazioni di Jakub Grygiel, Saul B. Cohen e Randall Collins alla luce della nuova fase di competizione geopolitica caratterizzata da conflitti sia bellici (Ucraina) sia potenzialmente militari (Taiwan) che hanno, tra le principali poste in gioco, il controllo di mari chiusi, stretti, arcipelaghi, coste e rotte commerciali marittime. L'impressione è che i limiti del potere marittimo emergano inevitabilmente nel caso in cui gli Stati perdano i loro vantaggi posizionali e comparativi in termini di risorse umane rispetto ai loro concorrenti, soprattutto nelle fasi di rapida diffusione delle innovazioni tecnologiche. Pertanto, la chiave del dominio geopolitico globale non sta semplicemente nel dominare i mari o, al contrario, la massa continentale, ma nel possedere i suddetti vantaggi sui rivali, non solo con la forza, ma anche attraverso una strategia diplomatica capace di cooptare gli alleati.
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